Il nostro lavoro…in due parole…

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Raccolgo volentieri la richiesta di un amico di iniziare il mio blog spiegando che cos’è il mastering; ovviamente per molti di voi scriverò cose già note, ma per tutti coloro per i quali non è così sarà l’occasione di ampliare le proprie conoscenze, mentre per i già avvezzi quella di avere magari uno spunto di discussione o semplicemente conoscere un’ulteriore opinione al riguardo.

Il mastering (o, più precisamente, pre-mastering, dato che se vogliamo proprio essere pistini la fase di mastering sarebbe quella della riproduzione delle copie registrate, come la stampa del vinile o la replicazione/masterizzazione dei cd…ma dato che ormai è uso comune eliminare il “pre-“ lo farò anch’io…bando ai formalismi insomma, è la sostanza che ci interessa  ), è la fase di lavorazione durante la quale un qualsiasi materiale audio già mixato  viene preparato e ottimizzato per “passarlo” sul mezzo previsto per la riproduzione sonora. Nel caso degli album, inoltre, si presterà anche attenzione ad avere un buon “flusso” tra un brano e l’altro, ossia che l’ascoltatore possa piacevolmente ascoltarlo tutto da capo a fine con la percezione di un lavoro unico e coeso (da non confondere con il “tutto uguale”: un buon mastering dovrà fare in modo che i brani procedano bene uno dietro l’altro pur mantenendo le differenze che sono state cercate in mix…).

Quando tale mezzo era esclusivamente il vinile i mastering engineers erano coloro che si occupavano di trattare, dal punto di vista sia dinamico che timbrico, il materiale registrato per venire incontro alle esigenze (e le limitazioni) tecniche di quel supporto.

Sul vinile non possiamo semplicemente “prendere e passare”, occorre fare attenzione a quale sarà il comportamento “fisico” della puntina in riproduzione, che non “salti”, non abbia oscillazioni eccessive, fare in  modo che la dimensione del supporto consenta il passaggio di tutto quello che è stato registrato (e non che dopo 5 minuti di musica il disco sia già “finito” e non ci stia più nulla…), e allo stesso tempo che il suono sia il più possibile fedele alla registrazione originaria.

Tutto questo è da sempre il lavoro del Mastering Engineer, o, per gli amici, ME…

Poi  sono arrivate le musicassette, poi il CD, i formati audio compressi, il download digitale, lo streaming…e continueranno ad arrivare formati e sistemi nuovi…il compito del ME dovrà quindi essere quello di fare in modo che i brani mixati “suonino bene” in tutte queste differenti situazioni; i problemi da risolvere non saranno più (vinile a parte) quelli fisici della puntina, ma le caratteristiche dei vari formati…magari nelle prossime puntate entriamo più nello specifico.

Ma quindi….sostanzialmente…il compito del ME non è mai cambiato!

Esatto! Nonostante dietro la fase di mastering sembra a volte si nascondano pratiche esoteriche ei limiti della magia, il nostro lavoro continua ad avere lo stesso scopo e funzione che ha sempre avuto…cambiano le tecnologie usate, le caratteristiche del formato in uscita dallo studio di mastering ecc…ma lo scopo del lavoro del ME è sempre quello di ottimizzare il materiale audio in uscita dallo studio di mix per il formato di riproduzione finale …tutto il resto (che sarà sicuramente materia di pubblicazione dei prossimi articoli) sono corollari alla funzione principale, funzioni “aggiuntive” e necessità “non indispensabili” che si sono sviluppate nel corso degli anni e che hanno fatto sì che la fase di mastering sia al momento attuale comunque molto rilevante anche dal punto di vista artistico e sonoro.

Fermandoci quindi a questo compito primario restiamo quindi in un ambito che non ha proprio nulla di “magico”, “esoterico”, e non c’è nessun segreto gelosamente protetto da un ristretto  gruppo pseudo-massonico di adepti  …anzi, è probabilmente nell’ambito delle fasi della produzione musicale, quella più concreta e scientifica…insomma, per essere sinceri, compositori, artisti interpreti, autori, arrangiatori, sound designers, recording engineers, mixing engineers ecc…sono “stregoni voodoo” molto più di noi!

E allora perché dietro al mastering si è creato questo alone di mistero (e anche numerosi concetti mal interpretati, come del resto è tipico quando non si fa chiarezza…)?

Azzardo alcune ipotesi:

  1. Perché essendo l’ultima fase di lavorazione nella quale è possibile un intervento sul suono, è facile, se mal fatta, rovinare il lavoro di tutti…al contrario, se ben fatta (e questo non è così facile…), può valorizzare tutta la catena precedente
  2. Perché per seguirla bene occorrono esperienza e un sistema di ascolto (cioè monitor + trattamento acustico della stanza) che non sono in molti ad avere, per cui si è creata automaticamente una cerchia di professionisti più ristretta rispetto, ad esempio, al recording o al mixing
  3. Concetti tecnicamente errati diffusi a macchia d’olio (e questo è il lato che personalmente giudico negativo del web: la possibilità di diffondere contenuti a costo pressoché nullo e velocità potenzialmente infinita è fantastica, ma è altrettanto facile che notizie scientificamente non corrette vengano prese, invece, come il “sancta sanctorum”…e questo vale un po’ per tutti gli ambiti…): questo ha fatto sì che molti pensino che il mastering sia fatto dalle macchine prima che dalle persone, e che sia sufficiente che in studio siano presenti  inarrivabili processori misteriosi perché il master “suoni bene”…

A me piace invece parlare concretamente e con i piedi per terra, per cui da buon illuminista (e perdonatemi se mi fregio di cotanto termine…) esporrò i miei punti di vista nel modo più tecnico, scientifico e pertanto “oggettivo” possibile, ed al riguardo dell’argomento odierno lo farò con un semplice diagramma:

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Il processo del mastering

Partendo dall’ipotesi della funzione essenziale del ME nel processo di produzione che ho esposto prima, è fondamentale che il master in uscita dallo studio “traduca” bene in tutti i sistemi di diffusione che verranno utilizzati, ossia “si senta bene” sia che venga ascoltato in un PA da Xmila Watt che dalle casse del computer o del televisore, tanto in un impianto hi-fi di qualità eccelsa quanto dagli auricolari collegati ad un telefonino…

Il processo di mastering comprenderà quindi, quando necessari a questo fine, interventi sul timbro generale del brano (con equalizzatori) e/o sulla dinamica (con compressori e/o limiters).

Quello che mi preme sottolineare è che:

  1. Il mastering lavora sul brano (o sui brani) nella sua globalità, non sui singoli strumenti registrati, quello è compito del mix
  2. Il mastering mira alla buona traduzione rispetto al blocco che ho chiamato DIFFUSORE, operando in modo da tener conto delle caratteristiche del blocco che ho chiamato MEDIA: non abbiamo modo di modificare MEDIA per ottimizzare la traduzione (ad esempio: un brano ascoltato via file mp3, essendo un formato compresso che genera perdita di qualità audio, suonerà sempre peggio dello stesso brano in formato WAV prima dell’encoding – ossia la conversione – e con il mastering non possiamo eliminare la perdita di dati dell’mp3), ma possiamo agire in modo che ciò che arriva in ingresso di ogni MEDIA sia ottimizzato rispetto alle sue caratteristiche affinché i limiti intrinseci di quest’ultimo siano il meno udibili possibile.

Dato il punto 2. va da sé che, proprio a causa dei numerosi MEDIA di uso ormai comune, la situazione ottimale sarebbe creare un master diverso per ciascuno degli usi previsti: questo non sarebbe sintomo di cattiva traduzione del master, anzi, sarebbe il sistema migliore per ottimizzarla, centrando in pieno l’obbiettivo principale del mastering stesso !

Spesso, purtroppo, per ragioni di budget o di tempi ristretti, questa possibilità non è praticabile; la capacità e l’esperienza del ME serviranno quindi a trovare la perfetta soluzione di compromesso per garantire la miglior traduzione possibile mediando le caratteristiche di tutti i MEDIA, e privilegiando quelli che si suppone saranno più importanti in funzione anche del genere musicale e quindi target di ascoltatori previsto.

Allora il mastering è solo questo???

No, non solo…questa è la sua funzione principale, quella per cui questa fase è indispensabile, ma con il tempo e la sua evoluzione ha assunto numerosi altri caratteri.

Potrei fare un’analogia: l’automobile esiste per trasportare le persone e le cose, ma se questa fosse l‘unica funzione da essa svolta tutte le auto sarebbero progettate e costruite uguali, invece ce ne sono di innumerevoli forme, colori e caratteristiche tecniche diverse, e ciascuno opta per un modello o per l’altro in funzione delle esigenze (piccola, grande, berlina, sportiva, benzina, gasolio ecc….); lo scopo primo dell’auto continua ad essere trasportare persone e cose, ma ormai non si limita più a quello…

Cosa facciamo allora di altro??? Questa è un’altra storia, e la racconteremo un’altra volta …

Alle prossime puntate!

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7 risposte a Il nostro lavoro…in due parole…

  1. Flavio ha detto:

    Precisissimo

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  2. gigi ha detto:

    grazie!

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  3. Dario ha detto:

    ottimo lavoro

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  4. Vincenzo ha detto:

    Bello!

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  5. Ico ha detto:

    Molto interessante!

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